Ossimoro Distimico

Sono ben consapevole di non avere chissà quanti lettori. Sono, inoltre, consapevole di trattare tematiche che potrebbero dare l’impressione di spaziare dal vaneggiare alla spicciola filosofia; eppure, avendo sempre dato poco peso al giudizio altrui, di tanto in tanto redigo questo intricato diario di viaggio.

In realtà, non credo esista o sia stata usata una definizione per descrivere un’ossimoro distimico e quindi d’obbligo palesare meglio il titolo. L’ossimoro è una figura retorica che consiste nell’accostare due parole che esprimono concetti opposti. La distimia, o disturbo distimico o disturbo depressivo persistente, è un disturbo dell’umore assomigliante alla depressione. La distimia, per quanto meno grave della depressione si potrae molto di più nel tempo. Quindi cosa sarebbe un ossimoro distimico? E’ semplicemente una persona che vive in piena contraddizione verso se stessa, una persona che animicamente vive uno stato di ipossia istotossica. Avvelenata, come fosse cianuro, l’anima (intossicata) non riesce a sfruttare ossigeno per sopravvivere. Questa mancanza di ossigeno e tutte le altre complicanze portate da uno stato ipossico, altro non fanno che ridurre l’anima ad un deserto, incapace provare delle emozioni, incapace di distinguere tra bene e male. Purtroppo è il primo inesorabile passo verso la distimia, alimentata da fattori genetici (anche se non scientificamente provato), vissuti negativi, estrema sensibilità (secondo me); le possibili terapie farmacologiche, non sono altro che l’uso di inibitori della ricaptazione della serotonina e per citare i più noti: Prozac, Zoloft, Efexor. Senza addentarmi troppo in campo medico, dove non posseggo una preparazione tale che mi permetta di argomentare l’uso di farmaci o psicoterapie cognitive e tornando al nostro argomento principale, si può facilmente comprendere che uno stato psico/animico in fase ipossidica porterà all’ossimoro distimico. Perchè? Perchè il soggetto distimico dovrà vivere di ossimori per evitare che la nostra (avvelenata) società lo ghettizzi come soggetto fragile (nella migliore delle ipotesi).

Non puoi sapere com’è stare in alto
Finché non sei stato così in basso
Il futuro è luminoso
Illuminato senza un posto dove andare
Avanti e indietro, il pendolo sbatte

Siamo qui e poi ce ne andiamo
La mia ombra mi ha abbandonato da un pezzo

Capire quello che non sappiamo
Questo forse passerà
Questo forse durerà
Questo forse crescerà

Facile vincere, facile perdere
La facilità mi ha abbandonato tanto tempo fa
Sono nel fuoco ma sento ancora freddo
Niente funziona, funziona più per me

Avanti e indietro, il pendolo sbatte
Avanti e indietro, il pendolo sbatte

Avanti e indietro
Avanti e indietro.

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